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BREVE STORIA DELLA ROMAGNA

 

(Da Wikipedia, l'enciclopedia libera.)

 

La Romagna è una regione storica, linguistica e geografica dell'Italia settentrionale, la cui parte maggiore forma insieme all'Emilia la regione dell'Emilia-Romagna.

 

I suoi confini geografici sono: ad ovest il fiume Sillaro, a nord il fiume Reno, a sud-ovest lo spartiacque dell'Appennino tosco-romagnolo fino al Monte Maggiore nell'Alpe della Luna. Da qui il confine continua pressoché in linea retta ovest-est lungo lo spartiacque fra il torrente Conca e il fiume Foglia fino al promontorio di Focara, a sud di Gabicce, nel territorio comunale di Pesaro. A est il confine è rappresentato dal mare Adriatico.

 

La Romagna comprende: la Provincia di Ravenna, la Provincia di Forlì-Cesena, la Provincia di Rimini, parte della provincia di Bologna (Imola e zone limitrofe) e della provincia di Pesaro-Urbino (parte del Montefeltro, Gabicce Mare, Gradara e parte del Comune di Pesaro). Generalmente, si considerano facenti parti del territorio romagnolo anche il comune di Badia Tedalda e una parte del comune di Sestino in Provincia di Arezzo e Firenzuola, Palazzuolo sul Senio e Marradi nella Provincia di Firenze, tutti territori facenti parte del versante Adriatico.

 

La storia della Romagna comincia prima dell'epoca romana: La Romagna fu abitata già dall'epoca preistorica, come dimostrano molti ritrovamenti, tra cui Cesena e Monte Poggiolo, presso Forlì. Il Monte Poggiolo di Forlì è un colle su cui sorge un interessante castello, che deve ancora essere restaurato. A poca distanza da esso, in una località chiamata Ca' Belvedere, sono stati ritrovati, a partire dal 1983, migliaia di reperti risalenti a circa un milione di anni fa, considerati di grande importanza per la storia d'Europa. In effetti, fino ad oggi, risulta essere il sito preistorico più antico d'Europa.

 

DAGLI UMBRI AI CELTI

 

I primi abitanti dell'attuale Romagna di cui si hanno notizie furono gli Umbri e gli Etruschi.

 

Tuttavia, circa nel 350 a.C. il territorio fu conquistato dal popolo che dette la prima impronta alla Romagna: i Celti; tuttavia questi popoli che già vi abitavano non scomparirono totalmente. Infatti, con ogni probabilità, il grande commediografo di Sarsina (oggi in provincia di Forlì) Tito Maccio Plauto era di origine umbra.

 

Migrati dal nord, i Celti si stanziarono in Italia, più precisamente nella Gallia Cisalpina, che è un territorio che parte dalle Alpi e comprende la Pianura Padana, una parte dell'Appennino settentrionale e dell'Italia nord-orientale presumibilmente fino a Senigallia, l'antica Sena Gallica. Tra le numerose tribù celtiche scesero in Italia anche i Senoni, i Lingoni, e i Boi.

 

All'ondata celtica, gli Umbri e gli Etruschi resistettero militarmente finché possibile, per poi soccombere all'esercito avversario. Sconfitti gli Etruschi sul Ticino, i Boi e i Senoni superarono l'Eridano (l'antico nome del Po) scacciando gli ultimi gruppi di resistenti. Raggiunta la costa adriatica, i Senoni riuscirono ad occupare un vasto territorio che fu chiamato poi dai romani ager gallicus, i cui confini, come racconta Tito Livio, furono subito chiari: le terre comprese tra il fiume romagnolo Utis (oggi il Montone) e il fiume Esino, che scorre presso l'odierna Jesi. Così, mentre Lingoni e Boi si stanziarono nella Pianura Padana settentrionale, i Senoni popolarono la Romagna meridionale spingendosi fino alla metà settentrionale delle odierne Marche.

 

L'insediamento celtico, a distanza di oltre 2000 anni ha tramandato tra le altre cose anche il dialetto romagnolo, derivato dal latino ma con un consistente substrato celtico, come ha rilevato il linguista Giacomo Devoto. Le inflessioni romagnolesche perdurano fino ai territori oltre Senigallia.

 

La permanenza dei Celti fu subito minacciata dalla potenza dei Romani. Un pericolo di cui i Celti si resero conto già prima della realizzazione di quella Via Emilia che, iniziata nel 181 a.C., sarà il mezzo di penetrazione romana nei territori. Nonostante tutto, davanti all'imminente pericolo i Senoni e i Boi rimasero disuniti, probabilmente per contrasti sul controllo dei commerci nell'alto Adriatico.

 

Nel 390 a.C., per risposta all'avanzata romana, i Senoni comandati da Brenno occuparono Roma con un esercito che annoverava tra le proprie file anche alcuni romagnoli dell'epoca. Ma è Roma la predestinata alla vittoria: infatti nel 295 a.C. con la vittoria a Sentino iniziò il tramonto dei Senoni, che pochi anni dopo furono definitivamente sopraffatti.

 

Molte città della Romagna sono state fondate sotto il controllo dei romani: Faventia (Faenza) Ariminum (Rimini), Forum Livii (Forlì), Forum Cornelii (Imola), Forum Popili (Forlimpopoli), e altre ancora.

 

EPOCA REPUBBLICANA

 

Nel 192 a.C., quando Publio Cornelio Scipione (detto l'africano) cacciò i Celti oltre il Po, sarà la successiva battaglia di Milano a scacciare i Galli oltre le Alpi e a chiudere il loro dominio dopo oltre tre secoli di stanziamento in Italia e in Romagna.

 

Nonostante la conquista romana, l'eredità celtica non fu affatto cancellata. L'occupazione fu infatti rispettosa dei predecessori: Senoni e Lingoni non compromessi con Annibale furono autorizzati a rimanere nei territori e, pare, beneficiarono anche della distribuzione e della messa a coltura delle terre attraverso il sistema di centuriazione romana.

 

Con il processo di romanizzazione lo "strato" celtico dei romagnoli non scomparve, ma si sovrappose alla nuova cultura imperante. Sotto il dominio della potenza Romana e al centro della lotta fra Mario e Silla, la Romagna parteggiò per Mario, al quale si alleò anche Ravenna, che eresse in suo nome una statua nel foro. La scelta fu, però, deleteria, perché intere città andarono distrutte nel corso della guerra civile: toccò, ad esempio, a Forlì nell'88 a.C.. La città venne, più tardi, ricostruita dal pretore Livio Clodio.

 

Infatti, proprio a Ravenna si diresse la flotta di Metello, luogotenente di Silla, che vi pose il centro delle sue operazioni. Così, diretto verso la via Emilia, Metello interruppe le comunicazioni mariane e poi sbaragliò a Faenza gli uomini di Carbone e Normanno. Successivamente arrivò la crisi della repubblica romana e l'avvento di quei "regimi personali" che culminano con Cesare. Proprio Cesare, che ancora ricorda le narrazioni delle grandi invasioni celtiche, vide nella Gallia Cisalpina la chiave per la conquista dell'impero e un territorio con le migliori truppe. Era infatti la Romagna il consolato più ambito.

 

Il convegno di Lucca del 56 a.C. assegnò a Cesare (come stabilito fra lui e Pompeo) il consolato della Gallia per il 48 a.C.: ma quando il Senato fece retromarcia e intimò a Cesare di cedere il governo della Gallia e sciogliere il suo esercito, Cesare reagì da par suo. Il 12 gennaio del 49 a.C. varcò il Rubicone, al tempo confine invalicabile per un generale in armi ed oggi corso d'acqua della provincia di Forlì-Cesena, diretto verso Rimini e poi su Roma. Da questo gesto incominciò la sua straordinaria avventura che lo porterà alla vittoria su Pompeo nella battaglia di Farsalo del 48 a.C. e al definitivo dominio di Roma.

 

Anche in questo caso la Romagna dimostrò una sorta di "vocazione" ai grandi appuntamenti della storia.

 

EPOCA IMPERIALE

 

Con Augusto e l'epoca imperiale acquistò crescente importanza Ravenna e il porto di Classe. Come ci racconta Plinio nella sua Naturalis historia, l'Italia è geograficamente suddivisa in 11 regioni. La Romagna è compresa nell'ottava regione, detta Gallia Togata Cisalpina e ha per confini l'appennino, il Po e Rimini, o come dice il Rossetti "il Crustumium, che si ritiene rappresentato dal fiume Conca: quindi con ciò ne risulterebbe un terzo spostamento del confine gallico, il quale sarebbe così passato dal Rubicone al Conca".

 

La ripartizione del territorio italico cambiò con Traiano prima e con Adriano poi: l'Italia era composta da 18 province, suddivisione approvata da Costantino nel 336 e poi ammessa dall'imperatore Giustino I.

 

In questa importante divisione la Gallia Cispadana era separata in due province distinte, decima e undecima, chiamate rispettivamente Emilia e Flaminia e aventi Bologna e Ravenna come capitali. Una divisione significativa di due territori che già allora erano sostanzialmente distinti.

 

LE INVASIONI GERMANICHE E L’ESARCATO

 

Dopo Cesare e il successivo potere augusteo la storia della Romagna ricalcò quella di un Impero che dopo secoli di continuo declino inizia a dare segni di collasso, per poi cedere sotto il peso delle continue invasioni germaniche. Nel 402 Alarico, re dei Visigoti, invase l'Italia e saccheggiò la Flaminia e fece prigioniera Galla Placidia, figlia di Teodosio e sorella di Arcadio e Onorio. Nel 410 avvenne il Sacco di Roma di Alarico.

 

Sessantasei anni dopo, nel 476: Odoacre, re degli Eruli, scese in Italia, entrò vittorioso a Ravenna dove depose Romolo Augusto. Proprio con la data del 476 gli storici hanno concordato la fine dell'Impero Romano e l'inizio del Medioevo (più precisamente l'Alto Medioevo).

 

A Odoacre seguì Teodorico, che conservò come Odoacre leggi e costumi romani. Fu in questo periodo che avvenne un fatto di eccezionale importanza per la storia romagnola: la nascita nel 585 dell'Esarcato. Fondato dall'esarca Smaragdo, fu una provincia di dominio bizantino con capitale Ravenna, sulla base delle disposizioni imperiali di Maurizio.

 

Similmente al cesaropapismo orientale (poteri temporali e spirituali in un solo uomo) al vertice dell'Esarcato si trovava l'esarca, con pieni poteri religiosi, politici e militari su un territorio comprendente oltre Ravenna anche gran parte della futura Romagna e del nord delle Marche, che includeva anche le città di Ferrara, Bologna e Adria. Le invasioni in suolo italico continuano e nel 568 è il turno dei Longobardi capitanati da Alboino che l'anno successivo si impossessa di Piacenza, Parma, Reggio e Modena. Ma la potenza Longobarda trova proprio nell'Esarcato Ravennate un grande ostacolo.

 

Non esiste una bandiera ufficiale della Romagna, tuttavia è comunemente riconosciuta come tale quella a bande orizzontali, gialla nella parte superiore e rossa in quella inferiore, con la caveja di colore nero al centro.

 

Nonostante le continue invasioni l'Esarcato (favorito dalla sua ottima collocazione geografica resistette ai longobardi, che non riuscirono a penetrare nel territorio compreso tra il fiume Sillaro e il Reno: l'"insula esarcale" (così veniva chiamata) rimase l'unico punto della penisola retto da leggi, costumi e sistema alimentare di derivazione romana.

 

È in questa circostanza che sorse il termine Romagna: mentre il territorio sottoposto ai longobardi venne denominato Langbard, da cui Longobardia (poi Lombardia), l'insula esarcale divenne per contrapposizione "Romandiola", "Romania" e poi "Romagna". Furono secoli decisivi per la caratterizzazione culturale, giuridica, folklorica e produttiva del territorio, ma soprattutto di differenziazione con Bologna che, anche grazie all'apporto longobardo alla sua università degli studi, assorbì fortemente la cultura degli occupanti.

 

Lo dimostra in modo inconfutabile la calata in Italia di Federico Barbarossa contro i longobardi: mentre Bologna partecipò alla Lega Lombarda e alla battaglia del Carroccio (Legnano) nel 1176 e fece dello stendardo il simbolo del suo emblema municipale, le città romagnole rimasero indifferenti. Forlì, in particolare, desiderosa di conquistare spazi di autonomia dal potere papale i più ampi possibili, cominciò ben presto a coltivare le sue caratteristiche tendenze ghibelline.

 

La "romanità" di queste zone ha avuto, pare, influenza non piccola anche in campo artistico: secondo Henri Focillon, infatti, l'arte romanica, soprattutto in architettura, deriva dall'adattamento dell'arte imperiale bizantina, ben presente a Ravenna, ad altri ambienti, come quelli rurali, ad esempio. Pertanto, già verso la metà del primo millennio dell'era cristiana, nelle pievi delle campagne tra Ravenna e Forlì il romanico aveva compiutamente assunto quelli che saranno per secoli i suoi caratteri definitivi. Stiamo parlando dell'area allora chiamata "Romània" (da cui l'odierno "Romagna"), cosa che giustificherebbe lo stesso aggettivo "romanico": si tratterebbe appunto dello stile "della Romania".

 

Diversità storiche fra la Romagna e l'area oggi detta emiliana si riscontrarono in differenti settori della vita economica e produttiva: nelle campagne della Longobardia il ruolo centrale che le città avevano giocato in età romana venne assunto da nuove realtà di stampo rurale come le corti, i villaggi o i potenti monasteri di campagna. Al contrario, nella Romania la città continuò a rappresentare – secondo il modello romano - il perno della vita civile, amministrativa, religiosa ed economica.

 

La valorosa storia dell'Esarcato terminò nel 751, dopo un secolo e mezzo di gloriose vicende, con la conquista da parte del potente Re longobardo, Astolfo. Alla conquista longobarda seguì quella Franca: nel 756 Pipino re dei Franchi cedette la Romagna al Pontefice Stefano II. Così, dopo una fase di alterne vicende nel controllo politico della Romagna tra i longobardi e l'arcivescovo di Ravenna, l'intervento dei Franchi è decisivo per la soluzione del conflitto in favore della Chiesa.

 

COMUNI E SIGNORIE

 

Tra la donazione di Pipino e l'epoca dei Comuni e delle Signorie la Romagna fu oggetto di contesa fra Papato ed Impero. Solo nel 1278, Rodolfo I d'Asburgo, per ottenere l'incoronazione imperiale, accettò di cederla al Pontefice. In realtà, neanche questo gesto placò le acque: anzi, parte della popolazione e dei signori della Romagna, come è il caso, in primo luogo, di Forlì e degli Ordelaffi, accentuò le proprie simpatie ghibelline appunto in nome della lotta per l'autonomia e l'autogoverno. Insomma, la Romagna tardomedioevale, lungi dall'obbedire compatta al potere temporale della Chiesa, si caratterizzò, come ci racconta Dante, per spirito di indipendenza e per grande rissosità. Come già afferma Vochting: "La storia della Romagna nel passaggio dal Medioevo al Rinascimento, ha caratteri affini alla storia delle altre parti dell'Italia settentrionale e centrale".

 

In Romagna dai Comuni si svilupparono piccole Signorie che, protette alle spalle dall'Appennino ai fianchi e di fronte dal mare, fiumi e paludi, poterono giocare abbastanza a lungo la loro autonomia con gli stati cresciuti intorno. Poi l'azione dello Stato Pontificio, avviata da Cesare Borgia, pose fine a quella situazione e da allora la Romagna condivise per 350 anni il destino politico del potere temporale dei Papi.

 

Per quanto riguarda l'organizzazione produttiva, non mancarono nel Medioevo romagnolo piccoli proprietari che lavorarono la propria terra, ma fu un modello molto meno diffuso di quello che prevedeva la distinzione fra proprietà e lavoro, nella quale la prima era dei nobili. Se il romagnolo (l'Esarcato docet) era mal disposto al sopruso, nell'epoca dei signori locali (Malatesta, Da Polenta, Ordelaffi, ecc.) gli antenati dei moderni romagnoli rifiutarono un ruolo passivo nel gioco di equilibri tra papa e imperatore.

 

Nel 1500 il duca Valentino, su mandato del papa Alessandro VI (che era un Borgia), realizza il Ducato di Romagna sconfiggendo le varie signorie locali e ricalcando sostanzialmente i confini della Romandiola di epoca longobarda. Nel XVI secolo, con la caduta di Cesare Borgia le maggiori famiglie

 

romagnole sono coinvolte nella lotta per il potere locale, una lotta che impedisce l'unificazione della regione, luogo di conquista di potenze esterne come i Visconti, Venezia, il Papato e la Toscana.

 

Dalla metà del '400 la Repubblica di Firenze conquista e acquisisce una fetta consistente di territori romagnoli spingendosi fin quasi alle porte di Forlì, a ridosso della Via Emilia "difronte" a terre ricche di grano e prossime alle saline di Cervia.

 

L'ascesa al potere, a metà '500, di Cosimo I de' Medici consolida il dominio del Granducato di Toscana nell'enclave romagnola; il simbolo più caratteristico sarà la costruzione ex novo della città fortezza di Terra del Sole al confine con lo Stato Pontificio. Il territorio della cosiddetta "Romagna Toscana" rimarrà assoggettato a Firenze fin oltre l'unità d'Italia.

 

Nel 1559 la pace di Cateau-Cambrésis divide i territori a sud del Po tra Farnese (duchi di Parma e Piacenza), Estensi (duchi di Ferrara, Modena e Reggio) e Stato Pontificio (Romagna). È un assetto stabile, che resterà immutato per circa tre secoli.

 

"RISORGIMENTO" E POST-"RISORGIMENTO"

 

Nel 1796 arrivarono in Romagna i francesi di Napoleone.

 

Pur nella presenza di alcuni fatti tragici (sacco di Lugo, spoliazioni, pesanti contribuzioni),si può affermare senza dubbio che la calata napoleonica abbia portato una ventata di novità. È proprio con Napoleone che al territorio romagnolo venne conferito ufficiale riconoscimento con la nascita della provincia del Pino (Ravenna) e del Rubiconde (Forlì). La capitale della Romagna napoleonica fu Forlì.

 

Purtroppo, Napoleone significò anche sommi torti: nel 1800 il Bonaparte chiuse la gloriosa università di Cesena (vecchia di 5 secoli) in parte per non dare concorrenti a Bologna e in parte per fare uno sgarbo a Pio VI, irriducibile avversario cesenate. Quando nel 1815 il Congresso di Vienna ripristinò lo status quo ante i notabili legati al regime giacobino non ci stettero: contro il ripristinato potere papale fioriscono società segrete (di matrice massonica) e prendono vita rivolte che culminano nei moti del 1820, 1830-31 e 1848.

 

Col tempo, l'opposizione si rinvigorì con la propaganda mazziniana e l'azione garibaldina, che trovarono in Romagna un terreno favorevole al loro diffondersi. La massoneria romagnola si adoperò nel cosiddetto "risorgimento" soprattutto sul versante repubblicano, nonostante la compresenza di massoni di stampo sabaudo. Ma i romagnoli pagarono un prezzo alto per le loro azioni: dopo la costituzione del Regno d'Italia, la monarchia negò la realizzazione di qualsiasi istituzione autonoma romagnola temendo pericolose tendenze destabilizzanti.

 

Era troppo fresco il ricordo di figure quali Felice Orsini, Piero Maroncelli e Aurelio Saffi. Storiche, politiche, etniche: tutte le oggettive ragioni pro-Romagna non superano la pregiudiziale antiromagnola della monarchia.

 

Nel 1864 cadde definitivamente l'ipotesi, auspicata da Vincenzo Gioberti e Carlo Cattaneo, di organizzare il Regno d'Italia in termini federalistici e ci si incamminò verso uno Stato centralista di matrice napoleonica. Le presunte regioni divennero "Circoscrizioni di decentramento statistico-amministrative" senza peso politico, semplici strumenti operativi del potere. Tutto questo nonostante nel 1860 la Commissione istituita a Torino nel 1860 presso il Consiglio di Stato espresse pieno assenso per un'impostazione federalistica.

 

Intanto la parola d'ordine rimase sempre "stemperare nel moderatismo degli ex-ducati il rivoluzionarismo romagnolo". Fu questa la ratio che portò Farini a consegnare alla monarchia una regione nata disseppellendo il termine "Emilia", esistito soltanto all'epoca augustea, per la durata di un secolo e per un territorio assai diverso dall'attuale e con la sottrazione di Imola (città in cui Andrea Costa, tra i grandi fautori di quel cooperativismo che tanto darà alla Romagna, fonderà il Partito Socialista Rivoluzionario Romagnolo) alla provincia ravennate a favore di Bologna. Tra le proteste, spicca quella di Carlo Cattaneo.

 

Guardando la storia, le divergenze tra l'Emilia e la Romagna sono profonde. Bologna è il capoluogo della Romagna quando le città guida sono state Forlì e Ravenna. Bologna non fu sotto i Senoni, si integrò coi Longobardi, fu estranea al Ducato di Romagna, ebbe Signorie che mai misero piede in territorio romagnolo. Infine, Bologna provò un trattamento autonomo da parte di Napoleone e la sua importanza nel preteso risorgimento è sempre stata sul versante liberale.

 

ITALIA REPUBBLICANA

 

Il discorso regionalistico che non si afferma con il regime sabaudo torna all'ordine del giorno dopo il 2 giugno 1946, entrando nei lavori dell'Assemblea Costituente. A sostenere l'autonomia romagnola sono personaggi come Aldo Spallicci, Giuseppe Fuschini, Emilio Lussu.

 

La richiesta fu avanzata anche da Molise, Salento, Emilia lunense (ex ducato di Parma). Se la pregiudiziale antimonarchica scompare, l'urgenza di stabilire le regioni nel più breve tempo possibile lascia tutto immutato, eccezion fatta per uno spiraglio democratico: è concesso di rimandare a tempi migliori la questione. Come dirà Palmiro Togliatti:"Noi vogliamo le Regioni nel più breve tempo possibile.

 

Senza porre ostacoli che ci impediscano di arrivare a questo risultato, lasciamo aperta una possibilità automatica di correzioni. Vi è un articolo che lo prevede: applichiamo quell'articolo. Questa è la giusta linea democratica." Rimane ancora aperto il discorso regionalistico.

 

Non sanata dalla costituente, l'ambizione della Romagna di divenire regione autonoma distinta dall'Emilia è sfociata dall'inizio degli anni "90 nell'attività del Movimento per l'Autonomia della Romagna (MAR), fondato dall'onorevole socialista Stefano Servadei, dal senatore democristiano Lorenzo Cappelli e da altri, che tutt'ora si batte per ottenere la regione Romagna, dopo aver raccolto oltre 90.000 aderenti.

 

La norma che potrebbe consentire ai romagnoli di esprimersi con un referendum sulla nascita della nuova regione, aggirando gli ostacoli politico-burocratici che attualmente rendono impossibile lo svolgersi del referendum, è contenuta come disposizione transitoria nel progetto di riforma federalista dello Stato voluto in particolare dalla Lega Nord-Padania con il nome di Devoluzione.

 

LA CAVEJA

 

La Caveja era (ed è tuttora) uno dei tanti motivi decorativi utilizzati nella stampa a ruggine dei tessuti, tipica della tradizione romagnola. La Caveja è considerata per eccellenza il simbolo della Romagna; questa parola romagnola proviene dalla tradizione contadina, ed indica un'asta d'acciaio saldata ad un apice (pagella) decorata con "anelli musicali" e immagini simboliche. I simboli più diffusi, inseriti fra elementi decorativi, erano quelli del gallo, della mezzaluna, del Sole, dell'Aquila e alcuni simboli cristiani, tra cui la Croce e la Colomba. La Caveja serviva a bloccare il giogo, trainato dai buoi, al timone dell'aratro o del carro, per evitare che il timone slittasse in caso di rallentamento improvviso.

 

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